giovedì 5 settembre 2013

Jakarta, 1 settembre 2013

Lunch d’accoglienza al Museo dei Trasporti per la prima giornata del Festival che apre alla popolazione con una parata per le strade di Giacarta nella quale sfileranno in costume i gruppi dei 40 paesi invitati. Il cielo, a tratti coperto, accentua il caldo afoso, ma non abbiamo il tempo di accorgercene, perché tutto qui ha l’aria condizionata e soprattutto i bus. In quello che ci preleva dall’hotel spuntano tra i sedili teste di legno, gabbiani e pesci coloratissimi di formato extra, burattini e marionette, è la tribù dei teatranti con al seguito le sue creature che, fra qualche ora, si esibirà per le strade nella più grande parata del Festival. lo sguardo sulla città, dai finestrini, ci offre grattacieli e baracche, i primi sullo sfondo del centro cittadino, i secondi sul lungo viale dove è ubicato l’Hotel dove si alternano canali di acqua stagnante e ponti sotto cui è sorta un’altra città, una baraccopoli nel verde, grazie alla vegetazione lussureggiante. La città periferica appare, in parte, ancora in costruzione, anche perché non tutti i palazzi sono rifiniti e i marciapiedi sono occupati da rivendite di merci varie, tra cui abbondano cerchioni di ruote per macchine, frutta e spacci all’interno dei quali s’intravedono i clienti che bevono e mangiano. Nel bus si chiacchiera, si fa amicizia con gli altri gruppi, tra gli italiani simpatizziamo con il gruppo “Compagniaiello” di Acri ( Cosenza) e con I Talita Kum della “Riserva Canini Teatro di Firenze. L’attrice Valeria Sacco racconta di essere passata in India prima e mette a confronto l’esuberanza vitale di Giacarta con la quiete del Kerala. Il bus arriva al luogo di destinazione dopo aver attraversato il parco “Taman Mini Indonesia Indah” che nell’estensione di 100 ettari accoglie una casa di dimensione reale per ogni Provincia dell’Indonesia, oltre a vari teatri, cinema, ristoranti e un tempio Borobudur, un esemplare del più colossale monumento buddista costruito 1200 anni fa al centro dell’isola di Giava, , la cui struttura assomiglia a un mandala tantrico. Per il resto, il Parco è simile a una Disnayland sull’Indonesia, in cui elefanti, coccodrilli e ogni altro animale riprodotto in grandezza quasi reale, sosta tra le aiuole per la gioia dei bambini e dei turisti. Anche per noi, che non riusciremo a visitare nessuna delle decine di isole da cui è composta L’Indonesia, troviamo in questo parco il surrogato di ciò che avremmo voluto vedere. L’atmosfera è quella di una domenica d’estate, c’è molta gente, tante famiglie con bambini che, su tovaglie bianche, verdi, arancione stese per terra fanno picnic o riposano, ma ogni spazio è buono, anche quello tra due parcheggi e i bambini si scatenano con mini moto, aquiloni, bici e palle. Non meno di tre figli per famiglia e accanto ai giovani, i nonni. La maggior parte delle donne ha il capo coperto dal jilab, anche le bambine, ma per tutte è coloratissimo e svolazzante. Non come a Doha, la capitale del Qatar, è qui che abbiamo fatto scalo, dove le donne circolano con un burqua austero, nero da capo e piedi e solo una piccola fessura per gli occhi. Giunti a destinazione, al Museo dei Trasporti, non ci siamo accorti che una telecamera riprendeva il gruppo che si è avviato in carovana verso l’ingresso. Con quale sorpresa durante il saluto ufficiale abbiamo assistito al nostro arrivo proiettato in differita col sottofondo di applausi e musiche di benvenuto in play back. Rod Petrovic, ideatore e curatore del Festival era lì che applaudiva, abbiamo riconosciuto anche alcuni membri della Giuria : l’americano Jerry Bickel e la giapponese Mary Boyd. Il lunch è stato in stile giavanese: agrodolce e piccante con dessert di gelatine policrome a tutti i gusti, ma soprattutto veloce. Per la parata erano già in attesa, in piazza, quaranta giovani vestiti da guardie, come fossero personaggi di una storia del Ramayana e con loro, assiepati intorno alla pista, nei giardinetti limitrofi, sui marciapiedi e i gradini, su qualunque spazio utile alla visone degli sfilanti, famiglie, giovani, coppie e tutti armati di macchina fotografica. Come amano in questa città fotografare ed essere fotografati. Subito dopo la sfilata decine e decine di fidanzati, signore, ragazze, mariti ci hanno chiesto di poter fare una fotografia con loro, capo fianco a fianco, un istante per la memoria di una vita. Che giorno memorabile il 1 settembre 2013. Ogni gruppo è preceduto da una guardia a torace scoperto, collare e copricapo di metallo splendente che ergeva il cartello col nome della nazione rappresentata: Australia, Corea, Columbia, Cipro,Lituania, Mongolia, Romania, Russia, Usa: Nord e Sud, Est ed Ovest del Pianeta uniti in nome del Puppet Theatre. In quanto a noi non ci siamo risparmiate nel far volare alto il nostro gabbiano, corteggiato , come sempre, dal suo sciame di pesci. L’atmosfera gioiosa suggella e amplifica l’aria di festa. E non capiamo bene se siamo capitati in una pezzo di storia del Ramayama o in una parata carnascialesca. I personaggi dei grandi poemi epici ( Ramayana e Mahabbarata) cui si ispirano le maschere e i costumi del cospicuo gruppo indonesiano sono mescolati a spettacolari travestimenti in cui ali di farfalla, piume di pavone si sommano alla maschera rituale della scimmia divina. Per un giorno anche alle ragazze è consentito trasgredire i costumi morigerati voluti dalla religione musulmana (professata dall’80% della popolazione). Ma per non dispiacere le antiche divinità, non solo quelle induiste e buddiste, ma quelle che vivono in ogni pinta ed essere vivente, come nell’antica trazione animista dell’Indonesia,il governo tollera che gli indonesiani siano liberi di scegliere tra religioni. Un comportamento coerente con il sincretismo e il pluralismo che caratterizza gli Indonesiani. Anna

Nessun commento:

Posta un commento